Improvvisamente hai l’impressione che il tuo bambino/a si sia trasformato in un estraneo/a? Da un giorno all’altro ha smesso di chiedere il tuo parere, di desiderare baci e abbracci e rifiuta ogni tipo di contatto?
Come va?” provi a domandargli... “Bene” ti risponde... “Che hai fatto oggi a scuola?” insisti...

Nulla... le solite cose e se ne va chiudendosi dietro le spalle la porta della sua camera dove campeggia un cartello con su scritto a caratteri cubitali “NON DISTURBARE!”
Che fare? Come difenderlo dai pericoli? Come aiutarlo a trovare il suo posto nel mondo, se non riesci nemmeno a scambiarci due chiacchere?


Il problema è molto vasto, proviamo a rifletterci insieme suddividendolo in 4 sottoproblemi:

 

  • - Essere genitore di un adolescente
  • - La relazione con un figlio/a adolescente
  • - Le regole con gli adolescenti
  • - L’autonomia di un figlio adolescente: quale, quanta e quando?


Cominciamo dal primo punto. Se sei genitore di un adolescente:
1) ti troverai sicuramente in forte perdita. Bisogna quindi che tu faccia i conti con il fatto che sei chiamato ad accettare dei cambiamenti nella relazione con tuo figlio e che questo non è facile né ti rende felice... E' un atto di amore nei confronti di tuo figlio/a!
2) devi sapere che, in natura, ciò che motiva la crescita e lo sviluppo è sempre la mancanza. Ripensa a cosa ti mancava quando eri un adolescente, quali erano i tuoi desideri e le tue aspirazioni. Fra la tua generazione e quella di tuo figlio/a il salto è abissale, ma il motore dello sviluppo è sempre la mancanza. Cerca quindi di verificare se tuo figlio ha o meno delle mancanze che lo spronano, così come tu avevi le tue.
3) Se tuo figlio ha dei desideri, aiutalo e sostienilo nel realizzare le sue aspirazioni (per una riflessione su quali e quanti desideri assecondare, leggi il post sull'autonomia dei figli adolescenti).
4) Se tuo figlio si trova a non desiderare niente e a sentirsi fondamentalmente vuoto, forse è il momento di introdurlo ad una ricerca più profonda sullo scopo della sua vita.
5) Rispettando i suoi tempi e aguzzando il tuo ingegno per non creare delle imposizioni, puoi provare a proporre nell’ambiente familiare nuove abitudini che guidino la sua curiosità verso la ricerca interiore.

Sia che ti rispecchi nel punto 3) sia che ti rispecchi nel punto 4), le azioni proposte aiuteranno te e tuo figlio/a sviluppare un nuovo modo di stare insieme! Ricorda, però, che questi sono solo spunti... quello che veramente conta "sul campo" è adattare questi spunti alla tua situazione e svilupparli creativamente secondo la tua personale esperienza!...]

I compiti evolutivi dell’adolescenza

Che cosa dobbiamo tenere presente nel processo psicologico di un adolescente? Dobbiamo tenere presente che l'adolescente deve effettivamente confrontarsi con molteplici sfide evolutive, tutte difficilissime, che gli permetteranno, se adeguatamente affrontate, di arrivare all'età adulta realizzato e ben funzionante.

Oggi si tende a descrivere l’adolescenza come una fase del ciclo vitale caratterizzata da compiti evolutivi e dal modo dell’adolescente di farvi fronte (coping).

I compiti evolutivi, serie di tappe che l’adolescente deve affrontare e superare per poter passare dalla condizione di bambino a quella di adulto, sono stati variamente definiti :

  • La capacità di separarsi dalla famiglia e di individuarsi, costruendo una propria immagine di sé;
  • L’inserimento nel gruppo dei coetanei;
  • L’integrazione della sessualità nell’immagine di sé, con la costruzione di un ideale di ruolo sessuale;
  • Lo sviluppo di un’identità sociale;
  • L’avvio di relazioni sentimentali o sessuali.

I compiti evolutivi vanno collocati nel contesto sociale e familiare dell’adolescente.

Ogni adolescente trova il proprio modo e i propri tempi per affrontare questi compiti. Alcuni possono essere in difficoltà in una sola di queste aree di sviluppo, altri possono ritrovarsi bloccati in più d’una di esse. Quando il blocco è generalizzato o persistente ci si trova di fronte non solo ad una perturbazione dello sviluppo, ma ad un vero e proprio disturbo.

In questo articolo mi atterrò allo schema dei compiti evolutivi elaborato da Anna Gagliardi Iorio (8), la quale descrive 4 compiti evolutivi fondamentali:

La differenziazione dai genitori e la conquista dell’autonomia;

    1. La ricerca dei valori sociali;
    1. L’identificazione col proprio sesso;
    1. Le scelte per il proprio futuro.

2.1 La differenziazione dai genitori e la conquista dell’autonomia

Il primo e, forse, il più difficile compito evolutivo per l'adolescente è quello della ricerca dell'autonomia, la differenziazione dal genitore che dovrà necessariamente essere disinvestito di quell’onnipotenza e onniscienza di cui il bambino lo aveva investito in quanto necessaria alla sua sicurezza e, quindi, al proprio benessere e alla propria sopravvivenza .

Il bambino è "satellizzato" attorno ai genitori, ossia cerca uno status derivato dalla loro accettazione e fonda la stima di sé su quest’accettazione. Questa soluzione tuttavia non è possibile per i bambini che sono rifiutati dai loro genitori o che sono strumentalizzati da essi e non accettati per sé. Lo sviluppo si indirizza quindi in direzioni diverse in funzione della "satellizzazione" o della "non satellizzazione". Quest’ultima predispone l’individuo a contrarre più tardi disordini specifici della personalità. Per accedere allo status adulto, il bambino satellizzato deve diventare autonomo dai suoi genitori. Questo processo di autonomizzazione, chiamato da Ausubel "desatellizzazione" è il compito principale dell’adolescenza. Richiede un capovolgimento della struttura della personalità e la conquista di uno status autonomo, fondato non più sull’accettazione da parte dei genitori ma sulle realizzazioni del giovane.

La ricerca d’autonomia passa attraverso la ribellione al genitore e si esprime attraverso atteggiamenti di protesta esplicita - a volte aggressiva - o di protesta silenziosa e/o mascherata come: l'isolamento, la chiusura in se stesso, disturbi psicosomatici. La ribellione dell’adolescente è progetto di vita.

Gli stati dell'umore dell'adolescente sono fluttuanti e discontinui, come i comportamenti che spesso appaiono incoerenti e bizzarri. Non c'è da meravigliarsi, ma spesso ci si meraviglia, se atteggiamenti di sprezzante sicurezza sono alternati a comportamenti di grande insicurezza e bisogno di protezione.

L'apatia, l'esaltazione, l’originalità, la svogliatezza, la confusione, sono tra i tratti tipici dell'adolescente e inducono nei genitori o troppo autoritari, che provocano nel figlio risentimento e gli inibiscono la fiducia in se stesso - o troppo permissivi - che creano ambiguità e confusione rispetto alla percezione di se stesso, degli altri, della realtà e impediscono di diventare agente responsabile delle proprie scelte.

Il processo di disinvestimento e differenziazione mettono in gran crisi il genitore. Crisi d'altronde necessaria ed indispensabile per l’evoluzione del bambino e per la sua differenziazione.

Secondo Ausubel, molti fallimenti che si verificano nel processo di emancipazione sono ascrivibili in gran parte ad atteggiamenti educativi errati dei genitori nel tempo precedente l’adolescenza quali l’iperprotezionismo, la sottovalutazione, l’iper- o sottodominazione .

Il distacco dai genitori si manifesta anche nel rifiuto di corrispondere alle loro ambizioni e può spingere, come afferma Erikson  all’assunzione di una "identità negativa". L’adolescente diventa proprio ciò che i genitori meno sopportano, un deviante, un tossicodipendente, ecc. La conquista dell’autonomia può richiedere anche una deidealizzazione dei genitori che si esprime nella critica, nella presa di coscienza dei loro difetti e limitazioni, la costruzione di un proprio sistema di valori.

Potete capire quanto la facilitazione o meno di questa differenziazione e autonomizzazione da parte dei genitori, favorirà o ritarderà o addirittura impedirà la crescita del ragazzo. Il genitore ha veramente un ruolo molto importante, perché non solo dovrebbe avere queste nozioni ma dovrebbe essere capace di facilitare il ragazzo mentre attraversa questa crisi.

Sarebbe auspicabile che i genitori avessero un ruolo autorevole e assertivo e che nella relazione con il figlio fosse attivo il sistema motivazionale della reciprocità con il quale affrontare i conflitti più o meno gravi che si possono presentare. La modalità di confronto paritetico è più funzionale al processo evolutivo del figlio.

Anche i ruoli che la coppia genitoriale gioca all'interno della famiglia sono importanti nel processo d’identificazione dei figli: questi, infatti, possono identificarsi in ruoli scelti per contrasto (il figlio di un padre persecutore potrebbe scegliere di diventare il "salvatore dell'umanità") o per emulazione sia del genitore dello stesso sesso che del sesso opposto, determinando in positivo o in negativo la sua vita futura.

L'assenza delle figure parentali è altrettanto responsabile d’eventuali disfunzioni nella vita relazionale dell'individuo.

2.1 La comparsa del "falso capo"

L'adolescenza è il periodo della comparsa del "falso capo": una figura sostitutiva del genitore, un altro "satellite" (un ragazzo più grande, un mito, un gruppo, un'ideologia) che il giovane adolescente investe di quell'onnipotenza di cui, nell'infanzia, aveva investito il genitore e nel quale cerca quella sicurezza che non ha ancora trovato in se stesso. Ma, anche in questo caso, la delusione sarà inevitabile quando scoprirà che il suo "idolo" non è all'altezza dell'onnipotenza attribuitagli.

Mentre nell’infanzia il genitore fungeva da "base sicura" (quando le cose sono andate per il meglio), nel momento in cui disinveste il genitore, la "base sicura" viene a mancare. Bowlby  afferma che la "base sicura" è necessaria all’uomo dalla nascita alla morte. Cambia solamente la tipologia della "base sicura", cioè il rapporto, che per l’adulto è fatto di reciprocità, mentre per il bambino è fatto d’accudimento.

Quando il ragazzo disinveste, naturalmente viene meno la "base sicura" ma così non potrebbe vivere, perciò va alla ricerca di un’altra "base sicura", in cui porre la stima e la fiducia che prima riponeva nel genitore; da solo non ce la può fare ancora. Nella foga di questa ricerca di solito, ma non necessariamente, lui investe in quelli che sono definiti "falsi capi". Per "falsi" non s’intende che per forza devono essere tutti cattivi o vigliacchi ma perché il giovane da, di fatto, al nuovo referente quell’onnipotenza che nessun essere umano può avere. A questo punto le frustrazioni sono inevitabili, anche se tutto va bene, cioè trova la persona adatta ma è un essere umano.

In queste circostanze, avvengono cose drammatiche nelle famiglie. Non solo il ragazzo prende le distanze dai genitori ma anche l’aver scelto ed eletto a loro sostituti persone che loro come genitori non ritengono efficaci, fanno andare in crisi anche i genitori, perché hanno perso il loro potere. Quindi il ragazzo che si trova a fronteggiare questo periodo della delusione, dovrà anche difendersi dalle minacce, dalle accuse, dai rimproveri, dai rinfacci degli adulti.

Questa è il momento della scoperta della fallibilità dell’essere umano. Ma immaginate se un ragazzo non avesse la possibilità, attraverso tanta sofferenza, di scoprire la fallibilità dell’essere umano. Quello che succederebbe all’adolescente sarebbe di credere nella sua infallibilità, quindi avere una percezione di sé inadeguata per eccesso o per difetto. Penserebbe o d’essere onnipotente o di non valere niente se fallisce un compito, non è accettato da qualcuno; avrebbe un’aspettativa disfunzionale nei suoi riguardi. Questa scoperta della fallibilità dell’essere umano comincia a dargli la percezione del principio di realtà. Quindi si svolge un processo da una percezione inadeguata a percezioni più evolute e funzionali.

In genere gli adolescenti, sia maschi sia femmine, scelgono capi più grandi di loro. Si vede se questi capi hanno assunto un ruolo di "base sicura" da cosa dicono gli adolescenti, nel senso che si sentono sicuri, si affidano, ecc.

Il tossicodipendente è colui che ha investito troppo in un’organizzazione fallimentare. In questo caso, l’investimento è indirizzato a persone o situazioni a priori del tutto fallimentari, cioè pericolose, disfunzionali; quindi è un fallimento annunciato.

Anche l’adolescente in generale va soggetto a grandi delusioni e frustrazioni perché investe troppo in questo "falso capo". La differenza che passa tra un adolescente in generale ed un adolescente disfunzionale o un ragazzo tossicodipendente è la scelta del "falso capo", ma tutti cercano un capo, che poi è chiamato "falso" a priori perché risulta falso. Nel caso del tossicodipendente il "falso capo" è il gruppo, non tanto la droga. Anche un’organizzazione come "Comunione e liberazione" può fungere da "falso capo", certamente è sempre meglio di un gruppo di tossicodipendenti. Ciò dipende non dalla positività o negatività dell’organizzazione ma perché l’adolescente investe troppo.

Qualunque cosa può fungere da "falso capo", come può essere una persona (ad es. anche il fidanzato vissuto come l’amore unico al mondo) e ciò per l’eccesso d’onnipotenza attribuita. Il bambino pensa che il genitore sia onnisciente, onnipotente, onnipresente, tutto. Il bambino non capisce che il genitore è un essere umano, pensa che è dio. Infatti nella clinica si riscontra che i bambini che hanno avuto grosse persecuzioni da parte dei genitori (non solo fisiche ma anche psicologiche) non lo riconoscono, lo negano, anche da adulti. Dicono "sì, sì però mio padre mi amava", perché il bambino è ancora in una condizione di percezione della realtà inadeguata. Per il bambino è indispensabile dire, anche se il genitore lo chiude a chiave nella stanza, che suo papà lo vuol bene; comunque il genitore lo deve giustificare, lo deve salvare. Molti bambini si colpevolizzano, pensano che sono loro i cattivi, cioè sviluppano una percezione di sé di inadeguatezza e di non amabilità. Il paradigma è questo: il genitore mi ama, se mi picchia significa che io sono cattivo, quindi io non valgo nulla. Quindi una non amabilità sua e una capacità di amare il genitore… Ma questo è funzionale alla sopravvivenza del bambino, perché se il bambino non pensasse così gli verrebbe a mancare la "base sicura" e lui morirebbe. Il problema nasce quando questa percezione funzionale all’età infantile continua fino all’età adulta.

Quando l’adolescente fa quest’investimento su altri e poi un po’ alla volta si rende conto che ha fallito perché non era possibile, torna da sé. Dalla crisi e dall’illusione passa alla delusione; il conflitto che avrà è non solo inevitabile ma è salutare. Cioè tutte queste delusioni e queste crisi sono funzionali al disinvestimento, ancora una volta, dell’onnipotenza dell’altro e alla ricerca della propria identità, alla fiducia nel proprio potere personale; perché quando mamma e papà non sono più buoni, e neppure l’ambiente e il mondo, allora resta solo lui stesso e torna da sé. Ecco perché è molto importante che i genitori stiano vicini e facilitino questo processo di ricerca d’identità. Qui comincia il lavoro sulla propria identità, identità sociale, fisiologica ecc.

Nella letteratura psicologica si è parlato di "identità infranta" rifacendomi anche a quella bellissima immagine che Lacan dà dello specchio infranto, quando lui afferma che se il genitore non riesce a fare da specchio al bambino rimandandogli la sua unità completa, totale, non frantumata questa persona avrà difficoltà a trovare la sua unità, la sua identità sarà infranta.

Allora il senso di fallibilità delle figure di riferimento da al ragazzo molta sofferenza e dolore, però da anche la percezione realistica di se e della realtà.

Tuttavia, per dolorosa che sia, questa delusione è funzionale alla differenziazione e all'evoluzione dell'adolescente, che inizierà così la ricerca della propria identità e autonomia.

Va sottolineato che, in questa fase, la conflittualità è la strada maestra per un'autonomia responsabile e consapevole e che evitare la frustrazione (come molti genitori fanno) può provocare seri disagi e difficoltà nel passaggio alla maturità e nella maturità stessa (ammesso che si raggiunga). Ne consegue che la modalità di comportamento più funzionale di un genitore deve essere quella di un sano attaccamento e di un flessibile accudimento (cioè offerto solo quando richiesto) e di una rispettosa reciprocità.

 

2.2 La ricerca dei valori sociali

Il secondo compito evolutivo, anche questo molto difficile, che l'adolescente deve affrontare è quello di acquisire modelli morali accettabili e adatti alla società in cui vive, ma anche accettabili e adatti al suo mondo.

Anche nello svolgimento di questo compito è particolarmente attivo il sistema motivazionale interpersonale dell'agonismo che, se funzionalmente e adeguatamente confrontato dal sistema motivazionale innato della reciprocità dell'adulto, faciliterà il compito, non solo, ma sarà la premessa fondamentale per le future relazioni.

La lotta degli adolescenti è integrare i modelli morali che avevano ricevuto in famiglia con il loro mondo: si pensi all’uso dello spinello come condivisione fra gli adolescenti, il farsi crescere i capelli lunghi, il body pirsing, il modo di vestire eccentrico, gli atteggiamenti stravaccati, ecc.

Il quindicenne con i capelli lunghi alle spalle, i jeans laceri, l'orecchino all'orecchio, che viene apostrofato con frasi ironiche, svalutanti la sua persona, o giudicanti il suo valore morale, può incorrere in una confusione di valori e di identità e - in casi estremi - entrare in discontinuità della coscienza.

 

2.3 L’identificazione col proprio sesso

Il terzo compito evolutivo è quello del processo d'identificazione con il ruolo del sesso cui appartiene, ruolo non solo biologico ma socio-culturale. Vale a dire la società impone al maschio o alla femmina: " un vero uomo deve…", "una vera donna deve…".

L’identificazione col proprio sesso dipende molto dai ruoli sociali che fungono da modello e dalle relazioni con i propri genitori. Molto dipende dalla struttura di personalità dei genitori perché nelle famiglie in cui la mamma è vittima del padre, il figlio difficilmente s’identifica con lui. Perché il modello è, "gli uomini fanno sempre soffrire le donne", così la femmina non s’identificherà mai nella mamma se subisce, perché il modello sarà, "le donne subiscono i comportamenti dei maschi". Quindi va anche ascoltata la storia della famiglia ed in particolare quella dei genitori.

Il ruolo della coppia genitoriale all’interno di questa crisi è importante. E’ più importante il "come" i genitori ci sono o "come" non ci sono (ad es. nella vita dei genitori separati). La cosa molto importante e significativa non è la presenza, ma la qualità della presenza (22).

I ruoli della coppia genitoriale che giocheranno all’interno della relazione col figlio avranno una grossa importanza perché avranno le seguenti funzioni: il genitore eterologo, vale a dire quello dell’altro sesso, determinerà o influenzerà la qualità di tutte le relazioni future del figlio; mentre il genitore omologo, vale a dire quello dello stesso sesso, favorirà la crescita del figlio per contrasto. Cioè lui confrontandosi potrà avere un modello che se gli piace può seguire, se non gli piace si può opporre. E’ necessario che il giovane non sia ostacolato, non sia punito, non sia giudicato affinché possa fare la sua scelta.

Se i genitori sono assenti nella vita dei figli è un dramma perché loro non avendo questi modelli hanno maggiori difficoltà a trovare la loro identità, perché questo confronto non esiste, però se ci sono e funzionano male anche lì è problematico, per questo dicevo, è importante la qualità della presenza. Devono fare più fatica o devono trovare dei modelli sostitutivi che non sempre funzionano. Tutto ciò determinerà in positivo o in negativo le sue relazioni future.

Nella scelta dell’omosessualità spesso è presente un rifiuto del genitore omologo, cioè nella scelta ci può essere un rifiuto totale della parte maschile. Ma la scelta della parte femminile ha una sua identificazione nella madre e un rifiuto totale del maschile (per atteggiamenti violenti, di sopruso ecc.). Quindi fra le due parti di noi ci identifichiamo, facilitiamo lo sviluppo di una parte del femminino o del mascolino a seconda delle circostanze.

La paura del sesso opposto si sviluppa perché non c’è abbastanza fiducia nella parte propria di ruolo che c’è stata destinata dalla natura; allora non è perché si ha paura dell’altro sesso, così come per la donna omosessuale si dice che ha paura degli uomini. E’ soltanto che ci si è costruito una propria identità basandosi su una figura maschile che è stata carente, che ha contribuito ad un’insicurezza di me, ad una percezione di me d’inadeguatezza, quindi basata su una bassa autostima.

Se io ho visto, per esempio, mia madre sempre vittima e mio padre come uno sfruttatore, un soverchiatore ecc. io posso avere paura di diventare come mio padre e quindi scelgo il ruolo di mia madre, quindi m’identifico di più in mia madre.

Quindi il ruolo del genitore è fondamentale. Il dramma poi è se gli stessi genitori sono stati vittime di un contesto e di un’altra coppia genitoriale con problemi simili.

2.4 Le scelte per il proprio futuro

Il quarto compito evolutivo riguarda le scelte per il proprio futuro (scelte professionali, lavorative, ecc.). "Cosa farò da grande?". Questo è sempre stato uno dei compiti più difficili nella scelta dell’identità sociale, del ruolo sociale che il ragazzo andrà a scegliere e oggi più che mai tale scelta è difficile (23):

1°) per la precarietà e carenza di esperimenti concreti nel campo lavorativo generale;

2) per i modelli disfunzionali che vengono offerti ai ragazzi, per cui per i maschi questa ricerca si pone nei termini di modelli di potenza (per es. il mafioso, la Parigi Dakar, ecc.), e per le femmine la cantante, la ballerina, ecc. che poi per la difficoltà contestuale della società in cui vivono questo ruolo, l’assunzione di questa scelta di ruolo sociale diventa difficilissima.

Anche nella realizzazione di questo compito gioca molto il ruolo del genitore, che può essere pieno di pregiudizi o facilitante per il processo del ragazzo.

E' questo un compito non meno difficile degli altri, ma che risulterà meno gravoso se l'adolescente può contare su una "base sicura" che gli assicuri fiducia, rispetto e comprensione che fungeranno da effetto Pigmalione, favorendo la fiducia in se stesso, l'autocomprensione e l'autoregolazione.

E' importante che, anche in questo caso, il genitore sia presente con tutto il rispetto e l'accettazione di cui è capace per aiutarlo a trovare strumenti adeguati alla sua realizzazione e ad integrare i vari frammenti d’esperienza per la costruzione di un sé coeso e unitario.

Nello svolgimento di questi compiti potete capire il ruolo importante e nello stesso tempo difficile che hanno gli adulti, perché i ragazzi hanno comportamenti variabili nell’umore, fluttuanti nelle scelte, dicono una cosa e ne fanno un’altra. Portando tutto all’eccesso appaiono agli adulti inaffidabili. Di fatto, i loro comportamenti autorizzano gli adulti a ritenerli inaffidabili o poco concreti, se non addirittura disfunzionali.

Una difficoltà con cui si deve confrontare l’adulto è il passaggio spesso da stati d’euforia a stati depressivi o d’abbandono. Spesso il genitore di fronte a questi stati in parte si preoccupa ma in parte non approva questi comportamenti fino ad arrabbiarsi.

Gli adolescenti sono in una continua altalena fra progressione e regressione. Quest’altalena si nota nel passare dalla troppa autonomia che in certi momenti vogliono ad una forte dipendenza. I genitori di fronte a quest’altalena ritengono i figli lunatici, capricciosi, incostanti.

In termini teorici possiamo affermare che gli adulti guardano partendo dal loro "sistema di riferimento interno" e non da quello del ragazzo . In altre parole, siamo noi che vediamo i ragazzi inadeguati e non capiamo che sono loro che si sentono inadeguati. La realtà è che non è che i ragazzi sono inadeguati come noi li vediamo ma si sentono inadeguati perciò danno quest’immagine. I ragazzi si sentono inadeguati perché il loro concetto di sé è carente, l’autostima è bassa per le difficoltà dei compiti evolutivi che devono affrontare, per i vacillamenti e i fallimenti cui vanno incontro.

Quindi la facilitazione del genitore, ma anche eventualmente dello psicologo, è quella di agevolare a trovare strumenti adeguati alla loro realizzazione, affinché poi possano acquisire una buona autostima.

Il superamento felice di questi passaggi permetterà il raggiungimento di un equilibrio adulto ben funzionante ed una congruenza con la propria tendenza attualizzante.

3. Alcuni elementi peculiari nell’approccio con gli adolescenti

Nei colloqui con gli adolescenti un elemento importante e difficile nello stesso tempo è essere in grado di mantenere la "distanza critica" tra sé e l’altro . Distanza che va misurata attentamente.

Ci vuole una grande disponibilità e, nello stesso tempo, una notevole capacità di porre dei limiti. Praticamente, ad esempio, essere disponibili significa dire all’adolescente che mi può telefonare anche di notte se è necessario, perché bisogna diventare per l’adolescente una "base sicura". Oppure alla fine della seduta di 50 minuti vi trattenete dicendo che vi state fermando di più in seduta perché è il tempo di farlo dato che sentite che in quel momento c’è qualcosa d’importante che volete lasciare finire di esprimere.

Questa disponibilità però va anche misurata mettendo delle regole.

Non bisogna temere o combattere quello che sente l’adolescente, ma quello che fa. A questo riguardo bisogna fare dei contratti chiari con l’adolescente. Se l’adolescente dice "io non voglio vivere, non ho voglia di far niente, mi sento triste, mi sento sfiduciato, mi sento inadeguato", non bisogna aver paura di questo, come fanno i genitori, ma bisogna invece "temere" quello che fa, che è un campanello d’allarme. E’ estremamente importante il contratto e la congruenza dello psicologo .

Porto il caso di un adolescente che sentendosi molto inadeguato, triste, annoiato afferma che era stato bene il giorno prima, che aveva trovato una soluzione cioè si era ubriacato. Allora alla seconda volta che lui mi raccontava cose di questo genere espressi la mia paura per questo e affermai che era liberissimo di ubriacarsi però se voleva fare terapia con me, doveva smettere d’avere quello che lui chiamava il suo "alleato".

Se nei racconti gli adolescenti dicono cose di questo tipo si può fare un contratto, perché sono comportamenti autodistruttivi ed è questo che è pericoloso. Allora si possono esprimere le proprie paure ed angosce per questi comportamenti autodistruttivi ridefinendo il contratto, dicendo "tu hai una settimana di tempo per pensarci, puoi continuare a venire oppure smettere, questa è la regola".

All’inizio può essere utile fare un contratto chiaro perché gli spiego che lui può andare incontro a comportamenti sotterranei d’autodistruzione, che può agire involontariamente comportamenti autodistruttivi. Questo lo dico all’inizio nel contratto poi mi occupo della relazione. Se poi viene fuori una cosa del genere io ridefinisco il contratto.

L’altra cosa, cui ho accennato prima, è quella di dare molta disponibilità; quindi non avendo un setting molto rigido, la mia disponibilità è in particolare quella di dire che mi può chiamare quando e come vuole.

Un altro elemento cui bisogna fare attenzione è la congruenza ma anche la trasparenza del facilitatore . La trasparenza è preferibile soppesarla con gli adolescenti. Nel senso che potrebbero emergere delle antipatia in certi momenti nel rapporto con lui, ma a differenza che nel lavoro con gli adulti dove ci si può lavorare in prima istanza, con gli adolescenti non è consigliabile.

Un altro punto è quello di trovare i punti forti dell’adolescente, che possiamo conoscere dal racconto che fa, e allearsi con loro . Trovare i punti forti significa, per es., che una persona che va malissimo a scuola può però essere bravissima nel calcio. Allora bisogna interessarsi molto a tali cose dove riesce bene ed ha interesse. In questo modo mi "alleo" con i suoi punti di forza, facendomi coinvolgere in queste cose.

La conferma comportamentale e la fiducia portano all’autocomprensione e all’autoregolazione per poi costruire attraverso l’accettazione di sé incondizionata l’autostima.

All’inizio della relazione terapeutica lo psicologo si trova in una situazione simile a quella del genitore quando il bambino è piccolo: quando il bambino è bisognoso attiva il suo sistema motivazionale dell’essere accudito e il genitore dell’essere accudente. Un cliente va in terapia perché sente che ha bisogno di essere accudito. Ma quando il bambino comincia ad avere 6-7 anni, secondo le sue capacità e la sua autonomia, deve essere investito di quella fiducia per poter cominciare a diventare veramente autonomo. Così è per il cliente, se non si basa il rapporto sulla fiducia.

Il cliente penserà, se lo psicologo continua ad accudirlo, che è quest’ultimo ad avere il potere, che è lui a dover accudire, che lo proteggerà, che lo salverà e ciò è un guaio. Allora è importante che il terapeuta sia consapevole di come funzionano i suoi sistemi motivazionali innati. Un facilitatore efficace deve arrivare ad attivare il sistema motivazionale innato della reciprocità.

Un’altra cosa importantissima da tenere presente è la capacità di allearsi col genitore senza perdere l’alleanza col figlio. La maniera migliore per allearsi col genitore è mettere dei limiti e delle regole quali, per esempio:

  • Non ascoltare mai i genitori senza il permesso del figlio;
  • Poter essere disponibile ai colloqui con i genitori, chiedendo al figlio di fissare lui quando e come crede opportuno l’appuntamento col genitore;
  • Se il genitore telefona non comunicare informazioni né spiegazioni e riferirlo al figlio;
  • Chiedere al figlio di invitare, quando si sente, il genitore a partecipare al colloquio.
  • I genitori devono avere delle informazioni e delle spiegazioni che non siano valutazioni del ragazzo e possono essere coinvolti non facendo loro perdere il loro ruolo di genitori, condividendo le loro preoccupazioni, quindi dando loro delle spiegazioni, rassicurandoli per i comportamenti del figlio. Mantenere il ruolo genitoriale significa dare ai genitori dei compiti che non sfruttano il ragazzo e che gli fanno sentire d’avere ancora una continuità col ragazzo.



In genere è il genitore, preoccupatissimo, che chiede l’intervento e lo psicologo deve avere l’abilità di "agganciare" il ragazzo. E’ importante che dopo aver ascoltato i genitori si inviti il ragazzo al colloquio e poi stabilire chi va trattato.

E’ importante anche se si lavora con l’adolescente che il genitore non sia escluso, perché il ragazzo tende ad escludere il genitore, anche se ne soffre pure. Un modo per coinvolgere il genitore è quello di chiedere al ragazzo "che cosa ti piacerebbe che tua madre o tuo padre facesse, che cosa ti aspetti, che cosa vorresti…".

Circa il concludere la seduta, la richiesta dell’adolescente di continuare a parlare quando il tempo è scaduto va analizzata volta per volta se è una provocazione, un gioco di potere, un ricatto oppure se è veramente che il ragazzo ha bisogno. Ci vuole molta disponibilità e flessibilità ma, a volte, anche molta fermezza.

Aiutare un adolescente con una famiglia disfunzionale significa dare un compito molto grande al ragazzo, colludendo con la sua parte onnipotente. Nel senso che quando la crisi adolescenziale avviene all’interno di una famiglia disfunzionale è bene occuparsi della famiglia disfunzionale e non solo dell’adolescente.

Nel lavoro di gruppo con adolescenti non cambia assolutamente niente rispetto alle sedute individuali, solo che con gli adolescenti è più facile che si venga meno al contratto. Quindi la ridefinizione delle regole del contratto con l’adolescente è molto importante. In particolare con l’adolescente si deve ridefinire il contratto specialmente riguardo al setting: ad esempio, se c’è un acting aut o il ragazzo può alzarsi e andarsene ecc. Bisogna comunicare che non possono agire i sentimenti ma solo verbalizzarli. A volte è necessario con gli adolescenti che si ripetano le condizioni del setting.

Queste sono le condizioni al gruppo d’incontro con gli adolescenti. Poi è esattamente la stessa cosa dei gruppi d’incontro con gli adulti.

4. Il genitore ideale

Tipicamente gli atteggiamenti del genitore sono o troppo autoritari o troppo permissivi. E’ difficile che un genitore riesca ad essere autorevole senza essere autoritario. Il genitore ideale sarebbe il genitore autorevole.

Gli atteggiamenti troppo autoritari inducono risentimento nel ragazzo e inibiscono la fiducia in se stessi.

Gli atteggiamenti troppo permissivi creano, invece, nel ragazzo ambiguità e confusione, perché non si capisce qual è il loro ruolo, ed in particolare confusione rispetto alla percezione di sé, perché o si sentono onnipotenti, tutto gli è dovuto, o non sanno dove cominciano e dove finiscono i loro limiti, le loro possibilità; quindi la confusione rispetto alla percezione di se stessi ma anche rispetto agli altri ed alla realtà.

Si capisce che a queste condizioni è difficilissimo diventare agente responsabile delle proprie scelte, perché una scelta responsabile va fatta conoscendo i propri limiti e le proprie responsabilità (ad es. io posso scegliere liberamente di comprarmi una macchina di 20 milioni se io so che 20 milioni li posso pagare).

Un caso di difficoltà con i limiti e le possibilità è quello di un padre che ha comunicato al figlio il messaggio "tu puoi tutto". Questo può facilitare per alcuni versi ma fa pagare dei prezzi altissimi nella vita, perché così da’ al ragazzo, sì il coraggio di fare però anche fare senza porre dei limiti alle sue possibilità, cioè sentendosi onnipotenti (per es. in una giornata può fare Catania-Roma, Roma-Catania, ecc. e prendere impegni come se non fosse niente, cioè non mette limiti; ci deve pensare, se no può arrivare a non sentire la stanchezza).

E’ importanza dare il limite, se no il genitore può diventare confusivo per il figlio. Quindi l’importante è che il genitore abbia un ruolo autorevole che significa assertivo, e che quindi sappia mettere dei limiti.

Nella relazione è importante che il genitore attivi il sistema motivazionale della reciprocità. Quando il genitore è troppo autoritario attiva il sistema motivazionale agonistico o della competizione, quando il genitore è permissivo attiva troppo il sistema motivazionale dell’accudimento .

Un genitore funzionante è consapevole di attivare il suo sistema della reciprocità che gli servirà poi anche per la risoluzione dei conflitti. Nella risoluzione dei conflitti se il genitore è autoritario li risolverà in maniera autoritaristica (sistema 1° "vincitore-perdente"); se è permissivo non verranno risolti affatto, verranno negati (sistema 2° "perdente-vincitore"). Se invece il genitore è autorevole saranno affrontati in maniera adeguata, cioè col sistema 3° "vinvi-vinci", detto anche "senza perdenti". Rogers e Gordon condividono la logica del "vinciamo insieme", cioè che la risoluzione dei conflitti è affrontata efficacemente se si risolve senza perdenti .

La condizione educativa ideale, secondo il paradigma rogersiano, è quella in cui rispetto, attenzione all’altro, autenticità e congruenza sono la garanzia di accettazione e sicurezza necessarie per tentare l’attualizzazione. Il bambino e poi il giovane può sintonizzarsi sul suo interno processo formativo e mettere tutto il suo personale impegno e tutta la sua creatività e capacità di iniziativa a servizio della sua formazione.

Compito dei genitori è allora soprattutto quello di creare un clima di rispetto e di accettazione che escluda la minacciosità dei giudizi e rinunci all’uso coercitivo del potere, senza per questo sfociare nel disinteresse e nel permissivismo che renderebbero ancora più insicuro e confuso il bambino o il giovane.

I genitori possono concretamente apprendere a coniugare libertà e disciplina facendo riferimento al paradigma di una profonda accettazione del diritto di ogni individuo a seguire la propria tendenza formativa verso l’autorealizzazione .

Ultimo aggiornamento (Lunedì 01 Ottobre 2012 01:18)